La dimissione dal Trattamento Psicanalitico o Psicoterapeutico – Claudia B. Pacheco

Un quadro della pittrice mozambicana Bertina Lopez

I terapeuti che danno il “certificato di guarigione” ai loro clienti, incorrono in un errore molto sottile. Sebbene ci sia difficile ammettere un “trattamento senza fine”, la dimissione, quando parte dall’analista, significa dire al paziente: “Lei ora è sano, non ha più bisogno di preoccuparsi della sua coscientizzazione, della cura della sua vita psichica”. L’essere umano, per natura, è vanitoso e presuntuoso. Già da sé si giudica giusto, padrone della verità e più saggio degli altri. L’aver fatto un trattamento psicoterapeutico e l’aver ricevuto il certificato dal suo psicoterapeuta, significa avallare l’idea che questo individuo deve essere più “sano” degli altri, che è più equilibrato, più capace. La sua vanità allora sarà sfrenata, diventando un individuo di difficile relazionamento e, a volte, insopportabile (come tanti che conosciamo) data la sua arroganza rinforzata dal terapeuta.
Una “dimissione”, in un trattamento, un elogio al cliente, può distruggere tutto un difficile lavoro di anni per la sua coscientizzazione.
La vita psichica non ha limiti. Così anche la sua coscientizzazione. L’arroganza, il disegno di alienazione e di fantasia avrà sempre la sua fonte sicura nell’interiore dell’individuo. Immaginare dunque che un giorno la persona smetterà di avere qualsiasi “patologia” è un’idea ancora più patologica che l’analista deve trattare per non alimentarla (in se stesso e nel cliente). Ugualmente lo stesso terapeuta non si deve dimenticare che il cliente che “cura” è una persona uguale a lui, che l’unico elemento che lo distingue dal cliente è lo sforzo continuo che lui fa per coscientizzarsi.
Su questo punto Freud aveva ragione quando diceva che il trattamento analitico non ha fine, né per il cliente, né per l’analista.
La “dimissione” si identifica in forma figurata con il livello in cui la persona si colloca in relazione alla realtà – egli sta “ben al di sopra dell’ordinario” nelle sue fantasie, nella sua alienazione e nella sua megalomania. Il terapeuta che dimette, in fondo, crede che il cliente abbia raggiunto un punto in cui egli stesso si colloca: “il padrone della sua verità” (e quel che è peggio, anche di quella degli altri).
Molti diranno: ma il cliente dovrà sempre egli stesso prendersi cura dei regressi nella sua vita. Molto bene: colui che si considererà tale ha già una attitudine di orgoglio e di vanagloria, caratteristica di quelli che sono molto alienati.
Per incredibile che possa apparire, la seguente affermazione è molto vera: colui che realmente si considera inadeguato per misurarsi con la verità, che dubita della sua capacità di ” sapere tutto”, che sente di avere bisogno di quella mezz’ora di analisi è il più umile e il più sano.

Il grande patto di alienazione dell’umanità – N. Keppe

L’Umanità è passata per varie esperienze; alcune hanno funzionato meglio di altre; però, l’una o l’altra sono finite sempre in un completo disastro, potendosi citare ad esempio, ciò che attualmente chiamiamo psicologia moderna.

Siamo in un’era che si dice psicologica per eccellenza, dove tutto ciò che si fa e si dice è studiato alla luce di tale scienza. Esistono numerosi libri che ci mostrano come trattare i figli, la madre (il padre no) e perfino come andare al bagno. Tuttavia, non c’è mai stata, come ora, una epoca di così tanti furti, crimini e vituperi in tutti i campi. Certamente qualcosa è sbagliata e molto sbagliata.

Io credo che tale sbaglio stia nell’attitudine attuale di correggere le manifestazioni dei problemi e non le loro cause – ciò che li generò. Sto dicendo che l’uomo attuale non si accontenta più di occuparsi di fattori secondari, ha sempre più una grande sete di approfondimento, di una ricerca sui fondamenti dell’esistenza; generalmente questa condotta viene chiamata religiosa, o meglio, spirituale. Lo stesso Freud già segnalò, come fondamento più importante della nevrosi, il fatto che “le religioni avrebbero perso la loro forza” (“Il futuro di un’illusione”). Credo che non ci sia mai stata una guarigione della psicopatologia, (che l’istituzione religiosa anticamente nascondeva), ma la sua coscientizzazione.

La cosiddetta relazione affettivo-sessuale è molto incentivata oggi dalle istituzioni sociali e si presta poca attenzione alla vera motivazione che le persone ricercano attraverso di essa: un patto di alienazione. È per questo che la maggior parte dei matrimoni, così come sono realizzati attualmente, fallisce.

Fin quando i due sposi accettano l’accordo, per fuggire dalla realtà, va tutto bene. Però, nel momento in cui uno di loro lo rompe, immediatamente sorgono le più grandi difficoltà nella relazione che prima venivano nascoste appunto dall’accordo alienante.

Il signor H.C. era sposato con una donna molto persecutrice, che lo aggrediva continuamente, facendo della sua vita un vero martirio.
Un giorno si divorziò e, immediatamente, cominciò a bere. In seguito, si sposò con un’altra ragazza che era esattamente uguale alla prima moglie. Però smise di ubriacarsi.

Il patto di alienazione, come possiamo facilmente vedere, costituisce motivo di grande difficoltà per l’esistenza umana, perché impedisce il suo sviluppo. Diremo che uno spinge l’altro verso il basso, evitando reciprocamente qualsiasi coscientizzazione.

Tutte le persone riconoscono l’errore di una vita sessuale libera; però è stato necessario tutto un processo di rivelazione perché avessimo certezza che l’uso della libido non rappresenta la minima importanza per la salute psichica, al contrario, sono proprio gli individui più sani quelli che sentono meno la mancanza di essa.

Percepisco che la maggior obiezione che molti fanno contro la trilogia analitica, è dovuta alla critica che faccio all’aspetto libidinoso. Un grande numero di psicoterapeuti non si sono ancora disillusi da questo indirizzo, apparentemente facile e radioso, ma tremendamente complicato e spinoso. Ma che cosa usare al posto della teoria freudiana che si è diffusa sulla terra?

Qualsiasi persona potrà percepire che la cosiddetta libidine sarebbe solo qualcosa di sconveniente se non notassimo i danni che ci sono in ciò che la causa e tale fenomeno accade in tutto. L’attitudine libidinosa in sé non significa niente, ma la sua eziologia sì, eziologia che si ritrova nella condotta di invidia, megalomania e teomania.

La liberazione dell’essere umano avviene per mezzo dell’atto d’amore – N. Keppe

… CHE LO LIBERA DALLA SCHIAVITÙ DELLA FANTASIA (PSICOPATOLOGIA)

Liberazione è l’atto d’amore e il contatto con la verità; nessuno è libero nel vivere la fantasia e l’immaginazione, ma lo è nel vivere la realtà. Nel frattempo è necessario distinguere la vera dalla falsa realtà, poiché le istituzioni sociali sono generalmente la deturpazione e la negazione del reale, forgiate dai gruppi più esperti nello sfruttamento del prossimo.

La liberazione potrà esserci solamente con il sentimento (amore), che è l’azione di entrare in contatto con la propria realtà.

Soffriamo le amarezze della più terribile prigione, nel voler incarcerare la vita psichica dentro il campo limitatissimo dell’immaginazione e della fantasia; patiamo come Prometeo che, attaccato alla roccia, sognava di librarsi nello spazio libero davanti a lui; come prigionieri di Platone, guardiamo speranzosi la luce che si spande fuori della caverna, aspettando la nostra decisione di arrivare là.

L’amore è il centro di tutta la vita; esso è la stessa esistenza – tutto parte da esso poiché esso è bontà e la bontà si diffonde da sé. L’amore è la base e il fondamento di tutto ciò che esiste.

L’amore è identico alla verità: è uno solo che si diffonde a tutti gli altri settori. L’amore è l’origine della vita, e anche il suo fine; tutto quello che esiste proviene da esso che, come un’enorme calamita, attrae tutta l’umanità.

Per questo motivo, non c’è alcuna persona immune dall’amore; ciò che esiste realmente è l’individuo che lo accetta di più; colui che lo rifiuta completamente lo chiameremo malato mentale, cioè colui che più cerca di negare l’innegabile. L’amore è il grande, eterno immutabile bene; solamente esso riesce a darci la pace che tanto ci manca.

Non possiamo odiare se non ciò che amiamo, poiché è solamente nel notare l’opposizione che esercitiamo verso di esso che riusciremo ad avere la certezza di quanto lo accettiamo. La coscienza del rifiuto (negazione) della verità è la percezione della grande adorazione verso di essa.

Collochiamo nel vincolo affettivo la sofferenza che sentiamo nel negarlo. In questo modo passiamo la vita lontani da ciò che ci fornisce la felicità.

L’amore non può essere contenuto in certi limiti (nel tentativo vano di evitare che sia dannoso per la persona); esso si espande naturalmente, sia che lo accettiamo o no.

Esso, se praticato, ci mostra che stiamo già vivendo la piena eternità, poiché è il definitivo che caratterizza il realmente umano; è la vita psichica nella sua interezza; è l’essere umano nella sua integrità.

D’altra parte, sulla verità e l’amore non c’è molto da scrivere, perché essi sono l’unico reale esistente; pertanto non sono spiegabili e non hanno bisogno di comprensione; per chiarirne la conoscenza, neppure tutti i trattati, i libri e le carte che tutto l’universo possa fabbricare saranno sufficienti, poiché non sarà mai conoscibile a chicchessia: si può solamente sentire per viverlo.

L’amore è la verità – N. Keppe

L’AMORE È LA VERITÀ MA L’ESSERE UMANO È DIVENUTO PRIGIONIERO DELLA SUA FANTASIA CHE È LA RAZIONALIZZAZIONE

La ragione dovrebbe essere una schiava dell’amore, ma per la forza della nostra megalomania, è divenuta il risultato della razionalizzazione che stabiliamo contro la verità. Stando così le cose, obblighiamo ogni individuo ad inquadrarsi dentro le istituzioni che organizziamo e, evidentemente, lasciano molto a desiderare – ogni volta che sorge qualcuno a condannarle viene condannato automaticamente. “Come osano rifiutare la mia meravigliosa razionalizzazione?” Così dice l’uomo-dio.Tommaso d’Aquino fa una distinzione tra la legge naturale e quella umana, in quanto quest’ultima può essere indirizzata contro la prima; per esempio: quando restringe la libertà individuale, quando danneggia, costringe, inganna – se tutto ciò venisse verificato arriveremmo alla conclusione che la maggioranza delle leggi è stata fatta dall’uomo contro se stesso.Quando l’essere umano scambiò la verità con la conoscenza, passò a vivere tutta la menzogna che riuscì ad elaborare, continuando a voler credere che si trattasse della realtà. Egli vede la realtà e dopo fantastica sopra di essa; in questo modo passa a fantasticare su tutto ciò con cui entra in contatto, dandogli il nome di conoscenza; quello che l’uomo chiama ragione è il modo di razionalizzare rispetto a quello che nota.In fin dei conti, quello che Platone ha proposto e, con lui, tutti i filosofi antichi e moderni, è stata la possibilità di considerare quello che non esiste come se fosse esistente; possiamo includere in questo ambito Kant ed Hegel che hanno affermato che il sì ed il no sono la medesima cosa. Dunque tutta la scienza si è impregnata di tale intuizione, ancorata a queste teorie, portandoci all’accrescimento dell’angoscia e della disperazione. Io stesso ho tentato di usare questa dialettica (che consideravo il centro di tutta la ricerca e del lavoro scientifico), senza arrivare ad alcun risultato, se non quello della confermazione della sintomatologia nevrotica. Certamente questa attitudine costituisce il nucleo di tutta la problematica umana.Freud, nelle sue Cinque Lezioni di psicanalisi, presentata al pubblico nord-americano nell’anno 1909 alla Clark University di Worcester, a pagina 197 dice: “Dobbiamo notare che noi uomini, con le elevate aspirazioni della nostra cultura e sotto la pressione delle nostre intime rimozioni, crediamo che la realtà sia del tutto insoddisfacente e per questo manteniamo una vita di fantasia nella quale ci compiacciamo di compensare le deficienze della realtà, generando la realizzazione di desideri”. Noti il lettore come la stessa psicanalisi nacque da questa intuizione.Generalmente si lega la vita affettiva alle illusioni o alle delusioni; però le delusioni partono dal campo intellettivo, quando notiamo che non è possibile ottenere tutto quello che ci immaginiamo, poiché non si può amare se non ciò che è vero.L’AMORE, COSÌ COME LA VERITÀ, È UNO SOLO,E, COME LA VERITÀ, È ANCHE REALTÀ.

L’amore, esattamente come la verità, è uno solo: non esistono due amori e, con la stessa intensità, due tipi assolutamente uguali, due attitudini affettive identiche. L’amore è uno solo; poi esistono alcune sue variazioni. Ed ogni volta che tentiamo di confonderlo, cadiamo nella sofferenza.

Tutti gli autori filosofici, religiosi o scientifici hanno trattato la verità in campo intellettuale; ormai è tempo di vederla anche nel mondo dei sentimenti. E la prima cosa che capita di osservare è che il sentimento è uno solo: non esistono due sentimenti, o meglio, due amori. Che si accetti o no, la verità è il nostro grande amore ed essa è una sola; ogni volta che amiamo qualcuno, gli trasferiamo una piccola fiamma della stessa forma, con identiche caratteristiche. È per questo motivo che speriamo da lui la medesima lealtà, fedeltà e appoggio della stessa verità.Di tutto quello che potremo sapere, l’unico elemento che sentiamo ed abbiamo la possibilità di ottenerne realmente il contatto è l’amore, poiché esso sfugge ai dettami della ragione (Il cuore possiede ragioni che la stessa ragione non conosce – Pascal); esso è la stessa verità.Mi sembra che solo nell’amore esista totale libertà, perché potremo amare il nostro maggior nemico e nessun raziocinio riuscirà ad impedirlo. Dunque esso è contrario alla conoscenza. L’Amore va verso la verità e non verso la fantasia e l’immaginazione; amare è vivere nella realtà.Tuttavia tutta l’irrealtà che costruiamo ci dà l’impressione di grande felicità, motivo per il quale cadiamo, poco dopo, nella disperazione; così fu nel romanzo Romeo e Giulietta di Shakespeare e così sarà con tutti i visionari dell’amore.

LA LIBERAZIONE CONSISTE NEL FATTO DI LIBERARSIDALLA PRIGIONE DELLA FANTASIA E DELL’IMMAGINAZIONE.

Rendersi liberi è liberarsi dell’immaginazione e della fantasia, è accettare il sentimento che è la base di tutta l’esistenza. È per questo motivo che crediamo che l’amore sia difficile, in quanto si tratterebbe di accettare la realtà, sbarazzandoci dell’alienazione nella quale “viviamo”. Quando sentiamo la necessità di amare perfino i nemici (cristianesimo), restiamo spaventati da tale impresa, in quanto in questo caso possiamo percepire la totale libertà nell’atto affettivo, che tutto permette – mentre per mezzo della ragione, accettiamo solo un polo del pensiero.Vorremmo comprendere nella libertà tutta la fantasia che creiamo. È lo stesso fenomeno della coscienza, quando mettiamo in chiaro il problema con il fatto di vederlo (e non in esso, in sé). Vogliamo dire che dentro la perfetta libertà, la persona non la percepisce neanche, perché si sente interamente realizzata. L’angoscia sorge quando la persona incomincia a creare impedimenti ad essa.Liberarsi è sbarazzarsi della fantasia, poiché non riusciremo mai a gustare se non ciò che è reale ed essere a contatto solamente con la verità. Questo è il passo definitivo dell’essere umano: decidersi a vivere ciò che un giorno lasciò, ma è rimasta quella la sua speranza, fino al momento che non si stancherà di tutta la sua fuga smisurata in secoli e secoli di disperazione.Esiste un fattore che non può essere trascurato; quello attinente alla nostra civiltà. Dal momento che nasciamo, entriamo in contatto con un insieme di idee e disposizioni, dentro le quali cerchiamo di incastrarci; tuttavia abbiamo la percezione che la maggior parte delle istituzioni sono false; ci ribelliamo per qualche periodo (principalmente nell’adolescenza, quando abbiamo l’opportunità di opporci), per impegnarci poi definitivamente in questa struttura malata. Coloro che non hanno fatto così, o sono eliminati, o combattuti per la vita intera.Staremo arrivando ad un’epoca in cui sarà possibile essere liberi? La fantasia è diventata qualcosa di perfettamente indispensabile?Una risposta include l’altra, poiché mentre stiamo creando ciò che non esiste, perdiamo il contatto con la realtà. E come è questa realtà? Essa potrà essere solamente quello che è, perché fuori di essa, entriamo nel regno dell’immaginazione, attraente all’inizio, ma un inferno per coloro che s’intestardiscono di permanere in essa.IL SESSO È PIÙ CHE ALTRO LA NOSTRA FANTASIA MENTRE L’AMORE È LA VERITÀ.

L’amore romantico può essere comparato alla idealizzazione che facciamo della vita: vogliamo stare su un piano idealizzato e non reale, nella fantasia dell’amore e non nella sua realtà, perché tentiamo di collocarci al di sopra della verità, per controllarla come meglio ci conviene.

Ciò che accade con la vita affettiva è esattamente lo stesso rispetto alla conoscenza: l’idea che l’amore porta sofferenza (così come la verità). In questo modo l’essere umano fugge erroneamente dal sentimento, rifugiandosi nel campo sessuale – che in realtà gli provoca disgusto. Amore, passione, vaneggiamento è amore-fantasia, è fuga dalla realtà.È imperdonabile il tentativo di identificazione che la scienza psicanalitica ha fatto tra l’affetto e il sesso; in generale mi sembra perfino il contrario, poiché la libido ha una connotazione molto più di alienazione, basta vedere la furia libidinosa degli individui estremamente malati (schizofrenici, paranoici, depressivi ed epilettici). Al contrario di quello che ha affermato la psicanalisi, la genitalità è propria degli individui molto malati, poiché essi hanno cambiato la realtà per il vaneggiamento sessuale.Qualsiasi contrarietà nei confronti dell’amore, ci fa sentire immediatamente un peso, o meglio, un’angoscia, perché il sentimento è la stessa essenza di vita e, facendo così, gli stiamo impedendo di esistere.Probabilmente il fattore che ha più contribuito a provocare questo stato è il modo di come si è usato il sesso: primo, tentando di confonderlo con l’amore, svalutando il vero sentimento; e, peggio ancora, sforzandoci di scambiarlo per amore. In questo modo restiamo insoddisfatti ed incompleti in quanto non ci abbandoniamo definitivamente all’amore.L’amore è incorso nella stessa condanna che l’essere umano ha perpetrato nei confronti della verità, essendo tacciato di pigrizia; si è concesso enorme enfasi al sesso, che si è chiamato libido(!), nell’intento di deviare l’attenzione dal vero problema.Nella misura che ci inoltriamo nel sentimento, le parole incominciano a diradarsi, il pensiero perde la sua forza, per cedere posto praticamente a quello che è il nostro reale prodotto, ma che appartiene al mondo della verità, senza limite o passioni e del tutto generoso. In questo preciso momento avvertiamo una forza formidabile spingerci nel campo delle realizzazioni, addirittura fino ad una unione tra il limitato e l’illimitato.LA LIBERAZIONE DELL’ESSERE UMANO AVVIENE PER MEZZO DELL’ATTO D’AMORE (SANITÀ) CHE LO LIBERA DALLA SCHIAVITÙ DELLA FANTASIA (PSICOPATOLOGIA).

Liberazione è l’atto d’amore e il contatto con la verità; nessuno è libero nel vivere la fantasia e l’immaginazione, ma lo è nel vivere la realtà. Nel frattempo è necessario distinguere la vera dalla falsa realtà, poiché le istituzioni sociali sono generalmente la deturpazione e la negazione del reale, forgiate dai gruppi più esperti nello sfruttamento del prossimo. La liberazione potrà esserci solamente con il sentimento (amore), che è l’azione di entrare in contatto con la propria realtà.

Soffriamo le amarezze della più terribile prigione, nel voler incarcerare la vita psichica dentro il campo limitatissimo dell’immaginazione e della fantasia; patiamo come Prometeo che, attaccato alla roccia, sognava di librarsi nello spazio libero davanti a lui; come prigionieri di Platone, guardiamo speranzosi la luce che si spande fuori della caverna, aspettando la nostra decisione di arrivare là.L’amore è il centro di tutta la vita; esso è la stessa esistenza – tutto parte da esso poiché esso è bontà e la bontà si diffonde da sé. L’amore è la base e il fondamento di tutto ciò che esiste.L’amore è identico alla verità: è uno solo che si diffonde a tutti gli altri settori. L’amore è l’origine della vita, e anche il suo fine; tutto quello che esiste proviene da esso che, come un’enorme calamita, attrae tutta l’umanità.Per questo motivo, non c’è alcuna persona immune dall’amore; ciò che esiste realmente è l’individuo che lo accetta di più; colui che lo rifiuta completamente lo chiameremo malato mentale, cioè colui che più cerca di negare l’innegabile. L’amore è il grande, eterno immutabile bene; solamente esso riesce a darci la pace che tanto ci manca.Non possiamo odiare se non ciò che amiamo, poiché è solamente nel notare l’opposizione che esercitiamo verso di esso che riusciremo ad avere la certezza di quanto lo accettiamo. La coscienza del rifiuto (negazione) della verità è la percezione della grande adorazione verso di essa.Collochiamo nel vincolo affettivo la sofferenza che sentiamo nel negarlo. In questo modo passiamo la vita lontani da ciò che ci fornisce la felicità.L’amore non può essere contenuto in certi limiti (nel tentativo vano di evitare che sia dannoso per la persona); esso si espande naturalmente, sia che lo accettiamo o no.Esso, se praticato, ci mostra che stiamo già vivendo la piena eternità, poiché è il definitivo che caratterizza il realmente umano; è la vita psichica nella sua interezza; è l’essere umano nella sua integrità.D’altra parte, sulla verità e l’amore non c’è molto da scrivere, perché essi sono l’unico reale esistente; pertanto non sono spiegabili e non hanno bisogno di comprensione; per chiarirne la conoscenza, neppure tutti i trattati, i libri e le carte che tutto l’universo possa fabbricare saranno sufficienti, poiché non sarà mai conoscibile a chicchessia: si può solamente sentire per viverlo.

Il sesso è la nostra fantasia mentre l’amore è la verità – N. Keppe

L’amore romantico può essere comparato alla idealizzazione che facciamo della vita: vogliamo stare su un piano idealizzato e non reale, nella fantasia dell’amore e non nella sua realtà, perché tentiamo di collocarci al di sopra della verità, per controllarla come meglio ci conviene.

Ciò che accade con la vita affettiva è esattamente lo stesso rispetto alla conoscenza: l’idea che l’amore portI sofferenza (così come la verità). In questo modo l’essere umano fugge erroneamente dal sentimento, rifugiandosi nel campo sessuale – che in realtà gli provoca disgusto. Amore, passione, vaneggiamento è amore-fantasia, è fuga dalla realtà.

È imperdonabile il tentativo di identificazione che la scienza psicanalitica ha fatto tra l’affetto e il sesso; in generale mi sembra perfino il contrario, poiché la libido ha una connotazione molto più di alienazione, bastI vedere la furia libidinosa degli individui estremamente malati (schizofrenici, paranoici, depressivi ed epilettici). Al contrario di quello che ha affermato la psicanalisi, la genitalità è propria degli individui molto malati, poiché essi hanno cambiato la realtà per il vaneggiamento sessuale.

Qualsiasi contrarietà nei confronti dell’amore, ci fa sentire immediatamente un peso, o meglio, un’angoscia, perché il sentimento è la stessa essenza di vita e, facendo così, gli stiamo impedendo di esistere.

Probabilmente il fattore che ha più contribuito a provocare questo stato è il modo di come si è usato il sesso: primo, tentando di confonderlo con l’amore, svalutando il vero sentimento; e, peggio ancora, sforzandoci di scambiarlo per amore. In questo modo restiamo insoddisfatti ed incompleti in quanto non ci abbandoniamo definitivamente all’amore.

L’amore è incorso nella stessa condanna che l’essere umano ha perpetrato nei confronti della verità, essendo tacciato di debolezza; si è concesso enorme enfasi al sesso, che si è chiamato libido(!), nell’intento di deviare l’attenzione dal vero problema.

Nella misura che ci inoltriamo nel sentimento, le parole incominciano a diradarsi, il pensiero perde la sua forza, per cedere posto praticamente a quello che è il nostro reale prodotto, ma che appartiene al mondo della verità, senza limite o passioni e del tutto generoso. In questo preciso momento avvertiamo una forza formidabile spingerci nel campo delle realizzazioni, addirittura fino ad una unione tra il limitato e l’illimitato.

La nostra salvezza (sanità) sta nell’accettazione della realtà del Creatore – N. Keppe

La scienza moderna ha prodotto un tipo di terapia che si è dimostrata utile, ma molte volte anche perniciosa, nel trattamento dell’essere umano. Il popolo, generalmente, si sottopone ad essa, come ultima spiaggia – dal momento che non ha altro mezzo per curare quelli che non riescono a stare ragionevolmente bene nella società. E, parlando di psicoterapia, il grande nome che balza subito evidente, è quello di Sigmund Freud, il creatore della psicanalisi. Prima c’erano alcune imitazioni di analisi, con la predominanza di metodi magici, il cui prototipo fu il mesmerismo (magnetoterapia). Il genio austro-giudaico demistificò tali processi iniziando un lavoro serio sulla vita psichica. Però, più tardi, elaborò sue ipotesi, dando la preminenza alla teoria della Libido, che fu il suo grande disastro. Il lettore potrà verificare questo fatto nell’articolo elaborato dalla dott.ssa Claudia Pacheco.
Con il tempo, la gente ha notato che la Psicanalisi, ortodossa o no (Melanie Klein, Wilfred R. Bion, Wilhelm Reich, i culturalisti, la Scuola di Frankfurt, Jung, Adler, Lacan, Foucault, ecc.), si è dimostrata insufficiente nel trattamento dell’essere umano. Allora sorsero altri metodi e teorie, fra i quali possiamo citare la transazionale, la gestal-terapia, per non parlare della vecchia riflessologia ispirata da Pavlov e del behaviorismo americano ed europeo.
La maggior parte di questi autori però, dimenticò che il grande contributo di Freud alla scienza è stato nel campo della metodologia, e non delle ipotesi teoriche e si agganciarono alle sue teorie.
La Psicanalisi Integrale è stata elaborata nel corso di ventiquattro anni di lavoro, in Brasile e in Austria (Vienna), e completata all’inizio del 1980. Tale evento ha coinciso con la venuta in Brasile del prof. Arnold Keyserling, che si entusiasmò del nostro lavoro e lo portò negli Stati Uniti ed in Europa – dove venne presentato principalmente nella città di Darmstadt (20.07.1980), vicino a Frankfurt in Germania; poi in Austria ed infine in Svizzera. Inoltre in ottobre di quell’anno facemmo parte del Club di Helsinki, come formatori per l’orientamento del settore sanitario.
La Psicanalisi Integrale ha iniziato ad esistere come scienza diversa dalla psicanalisi tradizionale, con la percezione del processo di inversione, avvenuta nel 1977, più precisamente nel mese di settembre di quell’anno. A partire da questa scoperta, siamo passati a rivedere tutti i postulati delle scienze psicoterapeutiche, arrivando a una totale riformulazione. E la più importante di tutte le revisioni fu quella della eziologia della psicopatologia.
Freud e i suoi discepoli considerarono sempre la malattia come conseguenza di elementi un giorno rimossi nell’interiore psicologico – che dovevano essere coscientizzati per non causare più nevrosi. Essi considerarono il malato come una specie di vittima di fattori estranei alla sua volontà. Come avrebbe potuto una persona soffrire di qualcosa già incoscientizzata?
Noi consideriamo la nevrosi come conseguenza di una attitudine di voler negare quello che sappiamo, tentando di incoscientizzarlo. E questa lotta per eliminare una coscienza produce il nostro stato di afflizione.
Nel suo aspetto tecnico, si nota che ogni persona confonde la visione con il fenomeno, per esempio: se io non mi accorgo che sono confuso, aggressivo e megalomane, ecc. ritengo di non esserlo. Questo è un fatto estremamente negativo, non solo in senso individuale, ma anche in senso sociale, il che porta molti popoli verso una dittatura, a causa dell’estrema megalomania di non voler vedere i propri problemi, pensando di poter passare sopra di essi senza conseguenze; ma questi problemi, quando vengono nascosti, continuano evidentemente a peggiorare.
Il primo passo nella formazione della metodologia della Psicanalisi Integrale è stata la scoperta dell’attitudine di collocare al di fuori della vita psichica tutta la causa dei nostri guai. Per esempio: quando i giornali dicono che una determinata persona è stata vittima di un incidente automobilistico, e non che è stata lei che lo ha provocato o ha contribuito a provocarlo. Altro esempio: “Una febbre fa impazzire il mondo: l’oro” (16.01.1980), e non che l’uomo diventa matto a causa della sua condotta rispetto all’oro.
Notavo che la maggioranza dei clienti pretendeva di scorgere i propri guai nel tipo di relazionamento che metteva in atto, sia con la moglie o il marito, con i figli, parenti e amici e, principalmente, con i genitori, fra i quali emergeva la figura della madre. E, tanto la problematica quanto la cura, venivano sempre collocate in questo tipo di comportamento. Lo stesso Freud individuò il nocciolo delle perturbazioni nel famoso Complesso di Edipo, che sarebbe un genere di vita strettamente sociale. E, siccome fu esaltata la libido, si creò una disperazione nella possibilità di migliorare il relazionamento affettivo-sessuale, indizio sicuro del recupero psicologico.
Non sarà difficile notare che tale desiderio immette la compagna, i genitori e le altre persone in un circolo infernale di proiezioni e colpe dello psicanalizzato. E ancora, la cosa peggiore di tutte è che la cura implicherebbe sempre la collaborazione delle altre persone; tutto ciò io l’ho chiamata Psicoterapia Psicopatologica.
Dal 1968, osservavo in Melanie Klein la sua considerazione di due aspetti fondamentali e opposti nella formazione della vita psichica: il segno buono e il segno cattivo, l’invidia e la gratitudine, l’amore e l’odio, e così via – con la sua considerazione che sarebbe comunque sempre fondamentalmente il sentimento d’invidia la causa della patologia umana. Di conseguenza dovremmo sostituire questo sentimento d’invidia con la gratitudine nel caso volessimo ottenere l’equilibrio.
Tale scoperta è stata possibile per la considerazione di un mondo interiore, ancora più bello, ricco e generoso, di quello esteriore – diremo l’universo parallelo, ma molto più fondamentale e importante del secondo.
Giungere a questa scoperta, la percezione dell’esistenza di una coscienza interna (oltre ad altri fattori), totalmente indipendente dalla nostra volontà, è stato solamente un passo in più. Si era costituita nella mia mente tutta la struttura fondamentale della vita psicologica.
È per questo motivo che le persone che ricercano la psicoterapia, confondono la coscientizzazione con le loro difficoltà, ciò che richiede molta perizia dello psicoterapeuta perché non abbandonino il trattamento.
In seguito, abbiamo verificato che l’individuo molto malato tenta di vivere più le fantasie che elabora che la realtà – come dice il detto: “il nevrotico costruisce castelli in aria, lo psicotico dimora in essi e lo psichiatra riscuote l’affitto”. Inoltre, la stessa verità era ritenuta come qualcosa di sgradevole, scomoda, che potrebbe essere tollerata con una buona dosa d’immaginazione. A questo punto abbiamo fatto il congiungimento tra la scienza, la filosofia e la religione, verificando proprio il contrario.
Chi è molto malato, rifiuta la realtà con molta forza, vedendola come pesante ed inadeguata – praticamente desiderando ricrearla a sua propria maniera e somiglianza. Questo è il motivo fondamentale di ogni tensione nella quale vive l’essere umano, poiché costruire l’esistenza, secondo la propria volontà, implica uno sforzo tremendo, inutile, doloroso e perfino comico – rifare ciò che è già tanto magnificente?
Questa scoperta invade il campo della filosofia (ragione) e quello della religione (sentimento), ponendo l’uomo davanti alla decisione o di adottare un’attitudine patologica a causa del desiderio di costruire la sua stessa esistenza, l’universo e le cose – come se fosse un nuovo dio (Teomania) – o, al contrario, di accettare la verità, preesistente a se stesso, che tutto è buono, bello e reale.
Questo è il punto fondamentale dell’attitudine di megalomania iniziale, per la quale desideriamo essere il creatore, una teomania che fiorisce nell’interiorità di ogni essere umano, sovrabbondando nella società patologica nella quale abitiamo. Questa intenzione iniziale produce tutte le difficoltà nelle quali viviamo – poiché combattere contro la verità significa stare combattendo se stessi, in quanto siamo una realtà vera.
Quando ci poniamo in antagonismo a Dio (si dia il nome che si vuole), ci troviamo in una posizione di attacco contro la propria sanità (che è la realtà), tentando di sostituirla con la fantasia e l’immaginazione ( che è la malattia, l’irrealtà) – e questa attitudine potrebbe essere causata da un motivo abbastanza studiato da Melanie Klein, la genialità, ma che noi poniamo in un motivo più nobile: l’invidia del Creatore.
A partire da ciò, tutto potrà accadere: che ci siano individui che si credono di essere un nuovo Napoleone, un Cristo, o anche un animale o un vegetale – perché essere uomini comporta l’accettazione di quello che siamo, ma che non siamo stati noi ad organizzarlo. Ammettere di essere debitori al Creatore, ci sembra molto umiliante.
Nel suo aspetto più specifico, la Psicanalisi Integrale applica il processo denominato dialettica – non una dialettica di tipo platonico, hegeliano, ma socratico, cristiano. Una dialettica che consiste in questo: esiste un interiore psicologico, così come l’esteriore fisico o il sociale o anche il materiale, propriamente detto. Così quando una persona parla di un fatto esteriore qualsiasi, sta parlando della sua attitudine psicologica. Un processo di paralisi, di cecità, di difficoltà respiratoria, circolatoria ecc. rivelano esattamente gli stessi processi che creiamo nel nostro interiore, nella nostra psiche.
La Psicanalisi Tradizionale ha studiato sufficientemente la proiezione – che è l’attitudine di collocare fuori quello che sta dentro. Ebbene facciamo questo non solo con la patologia, ma anche con la sanità, creando una situazione sociale delicata – per il fatto di vedere o tutta la salvazione o tutto il pericolo, provenienti dalla società. I gruppi più malati sfruttano questo fenomeno per profitto economico e sociale.
Io credo che questa sia stata la grande spinta che abbiamo dato in senso terapeutico, nel rivelare che siamo possessori di tutta la sanità e che la malattia viene come conseguenza di negare, omettere o deturpare la verità – e, nel momento in cui abbassiamo la testa per accettarla nuovamente, ritorneremo al Paradiso Perduto (Milton) che abbandonammo.
Stano così le cose creiamo una civiltà a gambe all’aria, nella quale naufraghiamo inappellabilmente, poiché continuiamo, nonostante tutto, a rimanere legati alla verità, alla bellezza e alla bontà – e ritroveremo la pace solo quando le riaccetteremo. Ci troviamo in una situazione comica, ossia quella di rifiutare ciò che siamo essenzialmente, solamente perché non siamo stati noi a creare noi stessi. La famosa frase “non ho chiesto io di nascere” (che spesso molti figli rivolgono con ingratitudine ai propri genitori) è una costante in ogni mente umana.
Il processo dialettico psicanalitico ci appare il più praticabile, perché funziona d’accordo con la natura umana. Per esempio: perché una persona comprenda qualsiasi cosa, deve comparare due elementi, per decidersi su uno di essi – con questo, possiamo dire che uno era errato o che è stato scelto quello sbagliato. E tale fenomeno si verifica nel mondo intellettuale, emozionale e, di conseguenza, nelle attitudini.
Perché la persona sappia quello che sta facendo con il suo interiore, basta che veda ciò che accade nel suo esteriore: malattie, decadenza fisica, difficoltà organiche, ecc. Esattamente lo stesso fenomeno possiamo applicarlo in campo sociale, poiché ciò che realizziamo socialmente (di buono e di cattivo) è esattamente ciò che realizziamo con la propria struttura psico-biologica.
Un esempio caratteristico della nostra arroganza, è l’attitudine di svalutare ciò che abbiamo ricevuto dalla natura, dal Creatore, mentre supervalorizziamo le nostre idee e le nostre fantasie.
Sto dicendo che, per essere sano, basta rinunciare alla grande immaginazione che costruiamo sopra la realtà – contrariamente agli altri orientamenti psicologici noi affermiamo che non abbiamo bisogno di elaborare la nostra sanità, poiché essa esiste già – e dobbiamo desistere dal volerla creare, poiché tutto quello che faremo sarà sempre un volerla alterare, omettere o negare.
L’essere umano diventa nervoso ogni volta che pretende di creare la sua vita; tutto quello che dovrebbe avere già esiste – tanto è vero che i genii ed i mistici non fanno altro che scoprire alcuni “segreti di Dio”, il che significa accettare ciò che è vero.
La preoccupazione dell’uomo sorge sempre a causa del suo desiderio di sostituire il Creatore con se stesso; nonostante egli sappia che è impossibile e che si tratta di un’attitudine ridicola, per non dire patologica. Questa è la fonte della nostra follia. Da questo momento in poi potrà sorgere ogni sofferenza – perfino il proprio inferno interiore.
Ci sono stati grandi equivoci rispetto alla vita psichica. Credo che i maggiori siano stati: a) un tentativo di biologizzarla, cioè, di considerarla come il risultato del funzionamento ghiandolare; una ipofisi organizzata male, un’emorragia di acido lisergico nel cervello ed ecco lì un individuo nevrotico. Ebbene, dopo quasi un secolo di questo orientamento, il popolo (che è la voce di Dio) è sempre meno convinto di tale impostazione; dal momento che la professione di Ippocrate si è mostrata insufficiente per trattare la vita psichica (questo lo disse già Freud); b) il tentativo di spiegarla per mezzo di fattori sociali (quasi sempre mischiati con fattori biologici). Dunque abbiamo saputo che i desideri libidinosi verso la madre (Freud) e la repressione sociale (Marcuse) venivano incolpati del nostro malessere; in quanto soffriremmo di carenze sociali: una volta è la mancanza di sesso, un’altra la mancanza di denaro o di prestigio sociale. Attacchiamo dunque la società, ma la stessa società siamo noi, e quelli che stanno là “in alto” sono gli stessi che stanno qui “in basso”.
Ora, che cosa ci impedisce di trattare la vita psichica, psichicamente? Potremmo trattare l’animale come se fosse un albero? Allora, perché desideriamo trattare l’uomo come se fosse un animale, o un insetto, una formica, per esempio? Questo è praticare una follia, o qualcos’altro ancora peggiore.
Può uno psicologo (o uno psichiatra) che lavora con i topi, in una facoltà, passare a trattare l’uomo allo stesso modo? Perfino il topo, in una sala di sperimentazione, sta già in condizioni artificiali nevrotizzanti; pertanto anormali: allo stesso modo uno studente di medicina giammai potrà applicare in un vivo quello che ha studiato in un morto – molto meno ancora potrà applicare qualcosa di organico nella vita psichica.
Siamo stati i primi psicoterapeuti a parlare della volontà – e non solo a parlare della volontà, ma a comprovare (attraverso l’esperienza) questo elemento fondamentale per la formazione della nevrosi. Medard Boss, in Svizzera, già dimostrò che il nostro problema sta nella mancanza di coscienza – ma noi abbiamo detto anche di più; non esiste una carenza di coscienza, ma la sua negazione, un’attitudine di opposizione, il che significa un rifiuto della propria vita. E questo comportamento rappresenta tutta la nostra malattia.
Nella misura in cui questo libro sarà letto, ogni persona potrà notare che c’è stato un grave equivoco nel campo della psicoterapia, nel tentare di portare l’individuo alla felicità, attraverso mezzi inferiori a lui, ossia il sesso, il denaro e il potere economico-sociale.
L’essere umano potrà essere felice solamente se starà in contatto con la vita che emana dal suo interiore – e questa vita è la stessa che guida tutto l’universo.
Quello che resta da dire qui è che la psicoterapia, nel suo senso reale, (oltre a ciò che la stessa parola dice: terapia dello psichico o psicanalisi: analisi dello psichico), ancora non è stata realizzata. E quando parlo di psichismo, sto parlando principalmente di ciò che esiste nel nostro interiore, perfino la volontà, cioè, i sentimenti, l’intuizione e la percezione, perché, a partire dal nostro volere, lo psichico impazzisce per il fatto che noi lo proiettiamo fuori, di preferenza nel sociale e nel biologico. La gente non dice proprio che la persona malata (mentalmente) sta fuori di sé?
Probabilmente il maggiore errore, fra tutti quelli della scienza tradizionale, è stata la confusione che ha prodotto tra rimozione e malattia, portando l’umanità a voler proiettare fuori tutto quello che sente e che pensa – dimenticando di considerare tale attitudine come la possibilità di coscientizzazione del processo che mette in atto per nascondere la realtà.
Non esiste una cattiveria basica, iniziale; esiste, questo sì, un’attitudine di opposizione alla realtà, che è buona, impedendole di manifestarsi: questa è la nostra malattia.
La malattia è l’attitudine di scagliarsi contro la vita; è l’odio rispetto alla realtà; è il desiderio di porre termine a tutta la verità. La malattia psichica o quella organica appaiono sempre come conseguenza di un’attitudine di opposizione al reale.
L’individuo, che la scienza moderna ha denominato come nevrotico o psicotico, è colui che digrigna i denti davanti alla verità – facendo di tutto per nasconderla.
Se la sanità, la felicità stanno alla nostra portata, perché non le accettiamo? Non le accettiamo perché pensiamo con ciò di soffrire – poiché dovremmo accettare la bontà che non è stata creata da noi -–e accettare questo comporta di passare sopra alla nostra invidia, alla nostra presunzione, alla nostra arroganza, alla nostra rabbia, e praticare sentimenti di gratitudine verso Dio. E i sentimenti di gratitudine verso di Lui sono la nostra felicità, i nostri sentimenti di gratitudine alla vita sono rappresentati dall’amore.
Per vivere bene, dobbiamo accettare la vita; però, per fare ciò, siamo obbligati a rinunciare alla nostra megalomania, in modo da vedere che essa è una donazione che abbiamo ricevuto da chi è il suo padrone. Nell’accettarla vivremo la verità e la bellezza e questo ci fa bene.
Quando accettiamo ciò che abbiamo ricevuto dal Creatore, immediatamente stabiliamo un contatto con la verità e la bellezza, permettendoci di essere buoni; e questo contatto è l’amore, che è il processo di usufruire del bene (che si diffonde da sé), facendoci diventare buoni e trasmettendo tale bontà agli altri – poiché il bene è sempre una diffusione, un’espansione che attraversa l’essere.
Esistiamo a causa della bontà del Creatore, che ce l’ha trasmessa per farci diventare buoni con gli altri – e il contatto è sempre un atto di amore. Nell’accettare la bontà, diventiamo buoni e, questa bontà investe anche le altre persone.
Potremo essere felici solamente nell’accettare la bontà che ci viene da fuori, formando un anello con essa – e, evidentemente, producendo altri anelli – ma giammai saremo felici, negando la bontà.
Credo che la nostra civiltà attuale sia arrivata alla sua fine, cominciando a naufragare: il freudismo (Libido), il marxismo e il relativismo (Einstein). Ogni volta che tentiamo di procurarci la felicità in qualche cosa di esterno a noi, sarà tempo perso, semplicemente perché sarà sempre un’attitudine di alienazione, di fuga.
Ci sono in varie parti del mondo gruppi di pensatori, religiosi e scienziati che cominciano a denunciare tutti gli errori che i gruppi più malati hanno inflitto a tutta la società –traendo tutta la coscienza che gli mancava, principalmente tutta la ricchezza che esiste, non nei soli beni materiali, ma principalmente nel nostro interiore. Al momento questa impresa sembra difficile, ma allo stesso tempo stanno apparendo individui disposti ad assumersi la loro responsabilità. In ogni caso, con la riduzione continua dei valori perituri, cominciano ad abbondare quelli imperituri (gli psicologici). D’altra parte non c’è altra strada per l’umanità.
L’essere umano, davanti alla realtà, potrà praticare, di due, un’attitudine: accettarla, oppure negarla, tentare di ometterla e di deturparla. In quest’ultimo caso, avremo l’individuo malato, psichicamente o organicamente – tuttavia, se accettiamo la verità, uniremo il nostro sforzo a tutto il potenziale che esiste e, in pochissimo tempo, avremo un enorme sviluppo insieme a tutta la società.

 

Prefazione al libro “Psicoterapie Alienanti” di AA.VV. – PROTON Editrice – 1980

La coscienza è l’unica garanzia di non cadere vittime della disinformazione – Fabio Biliotti

Quando arrivai a San Paolo, nel gennaio del 2000, fui subito investito da una valanga di domande preoccupate da parte degli amici circa il danno che l’influenza stava causando in Italia. Rimasi meravigliato da tanta curiosità per una cosa che per noi italiani era diventata come l’apertura delle scuole, come una rata da pagare, come una scadenza spiacevole sì, ma che faceva parte della nostra quotidianità e che affrontavamo in generale con una certa indifferenza, con assuefazione direi, pur sapendo che si sarebbe trattato di un fastidio che, volendo (così ci istruivano falsamente i media), avremmo potuto evitare con un vaccino. Era questa assuefazione non gradita che spingeva e spinge le multinazionali dell’industria farmaceutica a ricorrere ad espedienti terroristici che venivano veicolati al grande pubblico attraverso i mass media che “informavano” con più o meno allarmismo.

I brasiliani, vedendo la mia tranquillità, quasi indifferenza, la mancanza di qualsiasi segno di seria preoccupazione, pensarono che noi italiani non fossimo informati dei circa sei morti alla settimana che l’influenza mieteva in Italia. Non riuscivo a capire perché in Brasile si era convinti che noi italiani non fossimo informati, quando invece lo eravamo eccome! Sapevamo tutto! O almeno eravamo convinti di essere obbiettivamente informati! Come ogni anno l’allarmismo sull’influenza appariva con puntualità su tutti i giornali e su tutti i mezzi di comunicazione, “informandoci” ampiamente sulle complicazioni e i rischi. Non era un fatto nuovo per noi che l’influenza colpisse così tanta gente in ogni stagione e che ci fossero anche delle vittime, per lo più persone anziane.

Ebbi l’impressione, al contrario, che fossero proprio i brasiliani a non essere mai stati informati su che cosa succedesse nel mondo e che non fossero mai stati informati, non solamente su ciò che negli altri paesi accadeva, ma principalmente su ciò che accadeva nel loro paese a proposito dell’influenza. D’altra parte, pensandoci bene, in nessun paese, Italia compresa, si conoscono le cose che accadono in questa terra, se non quelle che ai potenti del mondo, che decidono quello che dobbiamo sapere o no, interessa farci sapere. Per questo i Brasiliani sapevano poco o niente degli italiani e gli italiani sapevano poco o niente dei brasiliani. Infatti nel mondo l’Italia è il paese della pizza e degli spaghetti e il Brasile il paese delle belle ragazze e del carnevale.

Ritornando all’influenza, l’informazione sui pericoli che rappresenta arriva ogni anno puntuale, non solo in Italia, ma in tutti i paesi europei e anche in modo piuttosto allarmistico. Per mesi non si fa altro che parlare del tipo di batterio che causerà l’influenza, se verrà dalla Cina, dall’Australia, dalla Russia, dalle Filippine o da qualche altra parte del mondo, se sarà forte o debole, se procurerà effetti gravi o meno.

Mi chiedevo perciò perché tanta febbrile (è proprio il caso di dirlo) agitazione intorno a questa faccenda da parte dei brasiliani. L’ho capito qualche giorno più tardi leggendo le pagine del “Folha de S. Paulo” (Foglio di San Paolo). Mi sembrava di rileggere i tanti articoli apparsi sui quotidiani e settimanali italiani; si trattava dello stesso taglio nel proporre ai lettori questo tipo di informazione. Mi sembrava scontato che si dicessero quelle cose e che si dessero quelle informazioni, ma notavo che queste informazioni venivano presentate come una qualche novità, non erano scontate. Per i brasiliani era una novità sapere dei danni dell’influenza e una novità sapere che in Italia e in tutta Europa l’influenza metteva a letto milioni di persone e che alcune di loro ogni settimana morivano. Per me invece era tutto ovvio, non costituiva neppure una notizia di quelle che incuriosiscono. Rispondevo agli amici brasiliani allarmati, e che temevano che io potessi essere un portatore sano del virus micidiale, che non era il caso di fare tanto allarmismo, che ogni anno la stampa riportava sempre con grande evidenza, spesso in prima pagina, e con ripetitività, le stesse notizie e che ciò non rispondeva ad un obbiettivo servizio ai cittadini, ma ad un servizio alle multinazionali dell’industria farmaceutica che avevano l’esigenza di vendere qualche nuovo prodotto o ritrovato studiati per incrementare i soliti colossali affari danneggiando e non curando la salute della comunità.

Ecco il punto: gli affari e il profitto. Ebbi l’impressione che questo affare, di dimensioni ancora più colossali che in Italia, stesse per essere lanciato anche in Brasile. Mi meravigliai che, date le potenzialità di un mercato tanto vasto, non si fosse ancora proceduto a lanciare questa campagna allarmistica sull’influenza. Forse, mi dissi, i potenti brasiliani non erano ancora pronti per sfruttare questo affare, non si erano ancora potuti organizzare, nel senso che non si erano messi d’accordo nella suddivisione di questa enorme torta. Per questa ragione i brasiliani non erano stati ancora informati che l’influenza fosse un male comune anche nel loro paese che, fino a quel momento, curavano come semplice raffreddore o “indisposizione” rimanendo a casa al caldo per qualche giorno o semplicemente aspettando che passasse continuando a lavorare, come molti di fatto stavano già facendo. Pensai che da quel momento anche i brasiliani sarebbero stati “amorevolmente” terrorizzati dai media che li avrebbero indotti a comprare medicinali necessari a evitare danni gravi, anzi gravissimi.

La questione “influenza” quindi non deve essere inquadrata nell’ambito del diritto dei cittadini ad essere informati, ci si deve invece chiedere: quale informazione deve essere data? Si tratta dell’eterno problema di ricevere un’informazione vera, obbiettiva, sana, non strumentalizzata dagli interessi delle multinazionali farmaceutiche, in questo caso, o di qualsiasi altra multinazionale. Ci si ricorda di quando l’influenza veniva combattuta con abbondanza di antibiotici che hanno indebolito in generale enormemente le nostre difese immunitarie, tanto da dover intervenire in seguito, con una campagna su vasta scala, sui medici perché sospendessero quel tipo di trattamento? Questo però fu fatto nel momeno in cui le industrie farmaceutiche furono in grado di mettere in commercio altri medicamenti e il vaccino per cui la perdita sugli antibiotici sarebbe stata più che compensata da altre entrate.
Ma qual è la verità che dovrebbe essere perseguita da una sana informazione? Il problema è qualitativo e non quantitativo, perché da questo punto di vista (quantitativo) un’informazione sicuramente ci sarà in quanto essa è collegata agli interessi del mercato.

Il punto vero è che ciò a cui si è assistito e si assiste, in Europa, come in tutto il “primo mondo” ed ora anche negli altri “mondi”, non è vera informazione. Credo anzi che la vera informazione, la giusta informazione, l’informazione etica per i popoli non sia mai esistita e non esista purtroppo se non in nicchie molto ristrette (come la nostra ad esempio) che spesso non fanno opinione; credo cioè che quello di una onesta informazione sia un altro dei fondamentali diritti del cittadino che sia sempre stato calpestato e continui a esserlo ancora oggi: si assiste solamente a propaganda occulta. In realtà l’informazione ha sempre funzionato, come fu analizzato bene al Convegno internazionale tenutosi dall’Associazione “STOP alla distruzione del mondo” a Parigi nel 1993. La sessione dedicata all’informazione produsse un documento molto interessante che si potrebbe riassumere così: i mezzi d’informazione funzionano obbedendo agli ordini dei potenti che questi mezzi possiedono e il destinatario è il pubblico che viene considerato passivo, anche se poi passivo non è, nel senso che l’informazione non vera, l’informazione falsa è dannosa per le persone, produce stress e malattie anche organiche e porta le persone stesse a reagire spesso irrazionalmente o nevroticamente.
Ma questo ai padroni dell’informazione non interessa, interessa solamente che questo servizio, in potenza fondamentale per il benessere dei cittadini, serva bene ai loro interessi spesso sporchi e irresponsabili. Le leggi del cosiddetto “libero mercato” ostacolano dunque la salute del genere umano.

D’altra parte molti fatti dimostrano che le cose stanno così. In realtà l’informazione viene data solo nel modo che conviene ai potenti e secondo calcoli ben precisi, infatti tutto viene quantificato, mercificato e monetizzato violando i più elementari diritti del cittadino: per esempio, sempre ritornando al caso dell’influenza che è il pretesto dal quale siamo partiti, attualmente nei paesi più sviluppati ci si sta preoccupando del fatto che l’affare farmaceutico danneggi molti altri affari in misura di giornate lavorative perse, per cui si sta cercando di trovare rimedi farmaceutici alternativi e si informeranno i cittadini con qualche altra menzogna; ad esempio che è bene prendere il farmaco ics perché permetterà di curarsi senza perdere giornate lavorative. Questo in parte già avviene. Molti avranno fatto caso che questo tipo di medicinali già viene pubblicizzato: è nota la pubblicità di quei prodotti farmaceutici che promettono guarigioni miracolose in tempi rapidi: spesso nello spazio di tempo di avere una bella tazza di acqua calda per ingurgitare una pillola o uno spruzzo di chissà che cosa per rimettersi in sesto in cinque minuti o dopo una bella dormita. Il doppio inganno sta nel fatto che si presenta questa medicina come miracolosa e per superare un malessere che ci impedisce di andare a ballare, a divertirci, a passare una giornata di vacanza, ma che, in realtà, ci viene proposto per andare a lavorare anche se siamo indisposti.

Tutto viene quindi quantificato e monetizzato con criteri irresponsabili, cinici e spesso razzisti. Infatti nel settore dell’informazione (che, come vedremo, è quella che è monopolizzata dalle poche grandi agenzie dei paesi più sviluppati) la vita di un boliviano non vale quella di un brasiliano, quella di un africano non vale quella di un argentino, ma quella di un brasiliano e di un argentino non valgono quella di un europeo o di uno statunitense.

Negli anni sessanta molti enti o agenzie giornalistiche o agenzie di indagine furono investiti da una valanga di denaro allo scopo di studiare i modi per ottimizzare i nuovi potenti mezzi d’informazione (specialmente la TV) e renderli funzionali alle solite esigenze della massimizzazione del profitto. Tutto venne perciò valutato e quantificato alla luce di questo parametro e l’informazione accentuò così sempre più la sua connotazione mercantilista. Singolare, ma emblematica, fu una ricerca condotta da alcuni giornalisti di una rete televisiva americana dal titolo “Scala di Equivalenza Razziale”. L’obbiettivo era quello di stabilire il numero minimo di morti in un incidente perché il fatto potesse essere considerato negli USA “notizia” e di quale importanza. Non si pensi comunque che un simile pensiero sia da considerarsi estremo, al limite, anzi possiamo affermare con certezza che questo è il metro che, consapevolmente o inconsapevolmente, viene adottato da tutti gli organi della comunicazione di massa. Quanti morti, ci si chiedeva in queste “ricerche”, in un’alluvione o in un terremoto o in una strage avvenuti in Vietnam (tanto per fare un esempio) equivalgono quella di un morto negli USA o in Europa? E quante decine di milioni di vittime sono necessarie in un qualsiasi paese dell’Africa Centrale per meritare tutto lo spazio che, la vicenda della strage casalinga di cui fu imputato il giocatore di football O.J. Simpson, ha occupato nei giornali e nelle reti televisive di tutto il mondo, tenendo oltretutto conto che in molti paesi lo stesso giocatore era pressoché sconosciuto?

Per dare un’idea di come funzionano le cose nei mezzi d’informazione di tutto il mondo, posso riferire di alcuni fatti relativi ai notiziari televisivi italiani nel periodo 1984/85.
Nel 1984 in Italia imperversò per un certo periodo una violentissima polemica politica sull’affare degli aiuti al terzo mondo; gli accusatori di quei politici che avevano truffato, per far risaltare meglio le loro accuse, sfruttarono, strumentalizzandole, la disastrosa carestia e la fame conseguente che si aggravò nel Sahel. Il diritto al sostentamento di quegli esseri umani (riconosciuto ampiamente dalla “Carta dei Diritti Umani” dell’ONU), ma violato in maniera cinica e irresponsabile da tutte le nazioni cosiddette civilizzate, ora rimbalzava nelle cronache dei giornali e delle televisioni. Agli affamati del Sahel, invece che mezzi per contrastare la carestia, fu dato“largo spazio” nei notiziari. Tutta l’opinione pubblica fu toccata dalle immagini di questi poveretti che chiedevano cibo e acqua; le immagini più strappalacrime furono trasmesse allo scopo di rendere ancora più sconvolgente e dura l’accusa fatta a quei politici di aver rubato i soldi destinati alla cooperazione internazionale. Ma una volta terminato questo scontro di politica interna i telegiornali, i radiogiornali e i giornali finirono di dedicare attenzione a quelle a quelle povere vittime africane, gran parte delle quali erano bambini. La polemica violenta fra i partiti italiani si era smorzata, ma la fame nel Sahel continuava e continua (là e in tante altre parti del mondo) a mietere milioni di vittime e le immagini dei poveri disgraziati africani svanirono nel nulla come d’incanto; la gente ebbe l’impressione che il problema fosse stato risolto improvvisamente per merito di un mago con la bacchetta magica.
Qualche anno dopo riemerse la necessità di riprendere il tema della fame in modo strumentale e le immagini riapparvero all’improvviso ancora più crude e drammatiche di un anno prima: fummo inondati di immagini di bambini con le pance gonfie, gli arti rachitici e gli occhi strabuzzati. Perché accadde tutto questo? Perché si doveva giustificare l’imminente “missione umanitaria” in Somalia da parte di truppe dell’ONU. Anche queste immagini scomparvero quando i militari americani si ritirarono in quanto la situazione in Somalia divenne talmente intricata che nessuno ci capì più niente.

Più in generale in quel periodo, ma le cose oggi non sono cambiate, la presenza delle notizie riguardanti il complesso dei paesi africani nei telegiornali e nella stampa italiana in generale si aggirò intorno al 2% del complesso delle notizie riguardanti i paesi sviluppati. Ma non si tratta di un fenomeno soltanto italiano; nel 1989 la Visnews (la più importante agenzia di immagini che raggruppa Reuter, Bbc e Nbc) produsse circa mille servizi sull’Africa, ma di questi solo undici vennero acquistati dalle TV dell’occidente.

Si tratta, come è stato rilevato più volte, di un altro aspetto deleterio dell’informazione: quella che molti hanno definito “informazione a senso unico” (one-way flow of information) dai paesi sviluppati a quelli meno sviluppati. Questa informazione avviene comunque sempre con l’intento di dipingere i paesi più sviluppati come qualcosa di paradisiaco, dove qualche volta accadono anche brutti fatti, ma dove nel complesso si vive benissimo e felicemente e tutto è molto bello! Purtroppo molti di coloro che dai paesi sottosviluppati si dirigono verso questi presunti “Eldorado” occidentali, si devono ricredere e subiscono molte delusioni.

Ma dire che “l’informazione a senso unico” è quella che va dai paesi sviluppati a quelli meno sviluppati, oggi non è più esatto, perché anche fra i paesi sviluppati vi sono paesi che non “confezionano” l’informazione. L’Italia, ad esempio, è fra questi ultimi, le sue agenzie d’informazione sono delle cenerentole rispetto alle grandi agenzie di informazione che operano nel mondo. Infatti più dell’80% del volume delle notizie del mondo è “confezionato” da quattro grandi agenzie: l’United Press International, l’Associated Press,, la Reuter e l’Agence France Press. La sovietica Tass, che pure produceva tante notizie, è scomparsa dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica, anche se una vera e propria agenzia non è mai stata, si trattava piuttosto di una rete che serviva più al KGB che ai giornali, e si atteneva più a necessità di propaganda che d’informazione.

La UPI (United Press International) americana fornisce notizie a cento paesi con un flusso di quattordici milioni di parole al giorno; l’AP (Associated Press) con sede a New York (quindi anch’essa americana) fornisce notizie a centododici paesi in sei lingue per un totale di circa due milioni e mezzo di parole al giorno; la Reuter con sede a Londra trasmette in dodici lingue per un totale di di cinque milioni di parole al giorno; AFP (Agence France Press) francese trasmette in centoquarantaquattro paesi un milione di parole al giorno. Non c’è dunque concorrenza rispetto a questi grandi mostri, i tentativi di arginare questa valanga di parole, non hanno storia. Tanto per fare un esempio la IPS (Inter Press Service), agenzia con sede a Roma e nata come cooperativa fra i giornalisti del sud del mondo e specializzata nell’informazione sui paesi del Terzo e Quarto mondo, trasmette solo centosessantamila parole al giorno, una goccia rispetto alla valanga di parole delle quattro grandi. Come si vede gli statunitensi fanno la parte del leone. Questo succede anche nella TV: i programmi vengono forniti principalmente dagli USA i quali importano solo il 2%. Fra i paesi del sud che esportano vi sono il Brasile e il Messico specializzati in telenovelas. Comunque l’America Latina compra tre quarti dei suoi programmi dagli USA e l’Africa ne importa solo dagli Stati Uniti il cinquanta per cento.

In questa situazione, come si può ben capire, essere informati non significa sapere ciò che è realmente accaduto e che realmente accade; ciò che arriva nelle case di miliardi di persone è ciò che una certa cultura prevalente (sarebbe meglio dire ciò che il potere prevalente) vuole che arrivi. Siamo ben lontani dal sogno di McLuhan del “villaggio globale” della comunicazione. Anche se il progresso tecnologico, i satelliti, l’informatica con internet rendono possibile una cosiddetta informazione in tempo reale, questa informazione rimane comunque dominata dai grandi colossi che possono inondare di parole tutto l’etere. Che peso può avere una sparuta notiziola, magari vera, nell’oceano di notizie che comunque le grandi multinazionali, attraverso i loro potenti canali, continueranno a sfornare?

La “one–way flow of information” è ben lontano dall’essere modificata. Questo ha portato, in tutti i paesi del pianeta, a ripiegare su un provincialismo che privilegia l’informazione a livello nazionale e locale. In Italia i telegiornali nazionali delle grandi reti sono otto (tre della RAI, tre di Mediaset, uno di TMC e uno de La7) e quasi per l’80% concentrati sulle questioni interne (prevalentemente politiche) con la consueta noiosa e inutile passerella di personaggi della maggioranza e dell’opposizione, e poi esistono innumerevoli telegiornali locali che ripetono lo stesso clichè a livello inferiore; un’informazione prodotta da un paese come l’Italia difficilmente può varcare i confini nazionali e influenzare altri paesi.

Ma ciò accade in tutti i paesi del mondo eccetto naturalmente quelli rappresentati dalle grandi agenzie di stampa: USA in prevalenza che intendono esportare un modello di società americana. Si privilegia dunque la notizia interna e per ciò che riguarda le notizie esterne vi è una perfetta omologazione dato che le fonti scritte, come abbiamo più volte ripetuto, sono ridotte alle quattro agenzie summenzionate e che le fonti visive vengono prodotte dalla Visnews, dalla World Television News, dalla CBS News International e dalla Cnn tutte statunitensi o anglofone. Gli analisti mettono in evidenza che ciò produce una visione del mondo attraverso la lente occidentale, ma questa a mio parere è una constatazione molto parziale e inesatta: non si dice cioè che il modo di fare informazione non solo propone un modello culturale unico (quello statunitense), ma anche un modello funzionale alle esigenze di profitto delle grandi multinazionali che hanno bisogno di rendere acritici, omologati, assuefatti e privi di coscienza i popoli di tutto il mondo diffondendo la convinzione che l’informazione che ci viene veicolata coincida con la realtà delle cose, che l’immagine che si dà della Terra coincida veramente con quello che è questo pianeta e che la conoscenza che si recepisce delle cose rappresenti neutralmente le cose stesse. Questa illusione oggi si è ancora più rafforzata in quanto, la teorica potenzialità tecnologica (con internet principalmente) viene confusa con una maggiore possibilità di intervento (anche del singolo) nell’elaborazione della notizia (maggiore democrazia e obbiettività) e con la concreta possibilità di addivenire ad un contatto diretto e in tempo reale con la realtà, come cioè se vedessimo con i nostri occhi e sentissimo con le nostre orecchie. Ma non è così: la piccola goccia di un intervento singolo in internet non potrà mai competere con lo sconfinato oceano dell’intervento delle grandi agenzie (multinazionali) e la realtà è talmente vasta e ricca che non potrà mai essere rappresentata con obbiettività.

In ogni caso l’informazione non potrà mai essere come vedere con i propri occhi e udire con le proprie orecchie, non potrà mai essere una “presa diretta” dei nostri occhi e delle nostre orecchie: essa sarà sempre un punto di vista, un’opinione di qualcuno. I computers, i chips, le fibre ottiche, i satelliti, tutti strumenti che aprono senza dubbio immense opportunità ai singoli, ma non dimentichiamo l’aspetto più preoccupante: proprio quegli strumenti rafforzeranno la capacità dei potenti di influenzare e addormentare a loro piacimento le popolazioni.

Per le piccole realtà imprenditoriali e ancor di più per il singolo individuo influire sulla formazione di un’opinione sarà praticamente impossibile. Basta mettersi davanti a un computer (e questo è già un primo problema da risolvere: avere le possibilità di acquistarlo) che ci rendiamo conto che occorre avere internet e, per averlo, occorre pagare anticipatamente un pedaggio al casello di entrata; in seguito si dovrà affrontare il percorso e fare soste negli svariati “autogrill” delle autostrade dell’informatica. E dopo aver fatto tutto questo, che ha un costo non indifferente, sorge il problema più importante: a chi credere? E naturalmente finirà per prevalere la solita logica che il più forte, il più presente, il più rappresentato, il più ricorrente nelle citazioni di altri, finirà per essere il più credibile e tutto procederà come prima, con un arma in più in mano ai potenti: una più grande opportunità di illudere e manipolare le coscienze.

Gli entusiastici pronunciamenti su questi nuovi sistemi di comunicazione non rappresentano altro che la consueta retorica dei “maitres a penser” asserviti ai diversi potenti che diffondono l’idea che la rete dei computer “non ha né un padrone né un controllore” che “internet è anarchica, ma anche democratica” come ha scritto il “New York Times Magazine”, che “segna non l’inizio di un’era autoritaria, ma la sua fine” come ha affermato “Harper’s Magazine”, che si sono realizzate le condizioni in cui “ognuno ha potenzialmente il diritto illimitato a esprimersi e a cercare informazioni su qualsiasi argomento”come ha notato “Us News & World Reports”. Non vi sembra sospetto che tutti questi servitori “autorevoli” pagati profumatamente dai potenti del mondo, siano così entusiasti di questa ipotetica liberalizzazione democratica degli esseri umani?

“Queste entusiastiche definizioni – come ricorda il giornalista Claudio Fracassi in un suo lavoro sull’informazione – ricordano troppo quelle analoghe, che hanno accompagnato la nascita del telegrafo o della ferrovia come strumenti di ‘definitiva liberazione dell’umanità’, per non essere quantomeno dubitabili”. Vi pare che questi sistemi di comunicazione possano aver trovato la luce e i finanziamenti necessari, possano essere stati ammessi alla fruibilità di tutti gli esseri umani senza un preventivo calcolo di convenienza e la preventiva autorizzazione delle grandi centrali del potere?

Dunque non ci illudiamo: la “presa diretta” (vedere con i propri occhi e udire con le proprie orecchie) non sarà mai praticabile, anche perché l’immagine della cosa non è comunque mai la cosa stessa, ma sempre una nostra interpretazione, e l’informazione rimarrà sempre e comunque l’opinione di qualcuno o una parte della verità: la verità relativa all’angolazione da cui ho potuto assistere all’evento. Per questa ragione i giornalisti dovrebbero poter godere della massima libertà di espressione e non essere soggetti alla censura o all’approvazione del padrone del giornale o del mezzo di comunicazione, ciò per meglio garantire il diritto ad una informazione veritiera e obbiettiva di tutti i cittadini del mondo. In questo senso l’indicazione scaturita dal convegno di “STOP alla distruzione del mondo” di formare tante piccole imprese di divulgazione potrebbe essere un mezzo valido per contenere lo strapotere delle grandi multinazionali; ma la principale arma di difesa da questo strapotere che l’essere umano possiede e che nessuno può portargliela via rimane sempre la stessa da quando l’essere umano è esistito: la voce interiore.

È senza ombra di dubbio necessario che si potenzi una presenza democratica, civile, giusta e onesta fra le voci che provengono dall’esterno, ma occorre un maggiore impegno e incisività per migliorare la capacità di ogni essere umano di poter “vedere” e “sentire” con i propri occhi e le proprie orecchie e questo lo si può raggiungere se ci si avvicina sempre più a quella voce interiore potenziandola, se si tolgono i veli che con la nostra attitudine invertita vi abbiamo posto sopra, se ci ricongiungiamo alla vera, unica e insostituibile qualità dell’informazione: la Verità, quella Verità Assoluta che esiste, a dispetto di tutte le discettazioni di filosofi laicisti e teomaniaci, e che ci mette in grado di poter vedere e sentire tutte le altre verità.

Se riuscissimo a rafforzare la nostra coscienza allora ci accorgeremmo che tutti i tentativi di disonesta informazione (meglio chiamarla disinformazione) sarebbero vani e non otterrebbero effetto alcuno.

Trilogia Analitica: una scienza unificata – Claudia Pacheco

Quando desideriamo aiutare qualcuno complessivamente, non possiamo considerare le sue emozioni senza prendere in considerazione anche la sua natura religiosa. Ugualmente non possiamo trattare la sua pressione arteriosa senza conoscere i suoi problemi personali. Non possiamo aiutarlo a risolvere i suoi problemi finanziari senza conoscere il suo passato, la sua educazione, la sua filosofia di vita ecc. Riassumendo, una persona non può essere curata in parti isolate. Tuttavia fino ad oggi il medico non cura che il corpo. Lo psicologo si concentra unicamente su qualche problema di aggiustamento sociale; l’ecclesiastico cura problemi di natura religiosa; lo psichiatra cura le angosce, i deliri e le allucinazioni (con droghe, elettroterapia, internamento nelle istituzioni specializzate), e così via.
Allo stesso modo la società umana è frazionata in settori isolati che sono frequentemente in conflitto. Un caso tipico è l’incompatibilità che esiste tra la scienza, la filosofia, la teologia, le scienze economiche e politiche. Questa divisione è il riflesso dello stato schizofrenico dell’io interiore dell’essere umano proiettato nella vita sociale. Una frammentazione che divide tutto: genitori e figli, uomini e donne, datori di lavoro e lavoratori, governi e popolo, le classi sociali. Nati uguali, dovremmo essere trattati in quanto tali; da cui ne deriva la necessità per una scienza integrale che, essa stessa unificata, curi l’essere umano e la sua vita come un tutto.
La Trilogia Analitica è una tale scienza, che unisce la teologia, la filosofia e la scienza (che corrispondono al sentimento, al pensiero e all’azione di ogni individuo), essa forma un tutto che mira all’unione dei popoli, delle razze e delle nazioni. E’ importante aggiungere che la Trilogia non è solamente un altro “capriccio”, ma una scienza basata sulle opere dei veri grandi saggi, filosofi, teologi e artisti, date alla luce nel corso di tutta la nostra civiltà.
L’intenzione di Keppe non era di creare una nuova scienza a partire da niente, ma piuttosto di correggere gli aspetti errati della saggezza accumulata fino ai nostri giorni, recuperando e unendo gli elementi reali, e sommandoli allorquando ciò sia possibile e necessario. Contrariamente a ciò che si può supporre, l’unità raggiunta dalla scienza Trilogica permette una comprensione più profonda e una specializzazione di ogni campo particolare di studi, cosa impossibile prima a causa della separazione fra le differenti discipline. Con una prospettiva Trilogica, queste differenti discipline possono mantenere delle aperture per la comunicazione, per gli scambi d’informazioni e di idee fra di loro.
Per esempio: la medicina tradizionale non è riuscita a sopprimere le malattie organiche poiché ha mancato di prendere in considerazione il legame che esiste tra la vita emozionale e l’organismo fisico. I medici non curano che il corpo, gli psicologi lavorano unicamente sulle emozioni. Pertanto la sola vera medicina è “sociopsicosomatica”, ciò vuol dire che essa deve comprendere e unire, gli aspetti sociali, psicologici e organici dell’individuo, che cerca di guarire.
Come può una persona che soffre di ulcera, che è angosciata da conflitti psicologici e che è sottoposta a enormi pressioni nella famiglia, nel lavoro e nella società, essere efficacemente curata con delle pillole e delle diete?
L’umanità è malata. Il sistema economico, la giustizia, la medicina, la psicologia, le religioni, gli esseri umani e anche la natura sono gravemente malati.
E c’è una universalità in tutto questo malessere, una causa comune poiché, in fondo, tutti gli esseri umani sono essenzialmente simili in tutto il mondo e tutta la miseria proviene da sintomi comuni. Inoltre i mali dell’umanità devono essere curati alla fonte. Questo rimedio tanto cercato può ora essere trovato per mezzo delle scoperte di Norberto R. Keppe.

 

(Tratto dal libro “ABC della Trilogia Analitica” di Claudia Pacheco)

L’invidia generalmente non è percettibile – N. Keppe

Il maggior problema dell’invidia è che essa generalmente non è percettibile dall’essere umano, essa è l’anticoscienza; l’umanità si trova ad un incrocio: come percepire ciò che è impercettibile, ma che è peraltro l’elemento più attivo nella distruzione della vita di una persona? Posso dire che invidia è sinonimo di impercettibilità. Il grande mistero dell’invidia è che essa organizza nella negazione, omissione e deformazione dell’essere, il motivo per il quale tanto l’amore, che la ragione e la coscienza diventano praticamente assenti nell’esistenza dell’essere umano, a causa della sua attitudine di opposizione al bene, al bello e al reale.

Quando una persona dice che non sente invidia o che non prova invidia, è perché essa si organizza proprio in assenza del sentimento; siccome l’invidia è l’incosciente, il suo possessore non la percepisce e, in quanto non la percepisce, diventa impossibile correggerla. In questo caso possiamo dire che l’essere umano non ha coscienza dei motivi delle sue malattie organiche, psichiche e sociali, motivo per il quale non accetta la medicina psicosomatica, la sua psicologia e non mette in discussione per correggerli i suoi problemi.

Ciò che esiste è la coscienza essendo l’incoscienza la sua negazione; dobbiamo ammettere che esiste realmente un campo inconscio all’interno dell’essere umano, una privazione della coscienza: abbiamo dentro di noi la coscienza e la sua privazione, l’essere e la sua negazione (non essere), il sì ed il no. E la privazione, essendo un’opposizione al bene, esige un’attitudine molto intensa per tentare di annullare e disfare ciò che esiste.

Nell’invidia l’individuo attacca l’altro e commette le più grandi sciocchezze senza accorgersene; siccome l’invidia non è percettibile, l’individuo deve ammettere la sua esistenza come se fosse un atto di fede. Perciò la grande, enorme difficoltà per accettarla ed ammetterla sta proprio nella sua invisibilità, come se fosse un demonio nascosto che è esattamente l’entità che la caratterizza; sembra che questi si vergogni tanto di tale “sentimento” che si nasconde per non rivelarlo. Tutto ciò che la persona non percepisce è proprio a causa dell’invidia.

L’invidia è più percepita indirettamente attraverso le sue conseguenze; per esempio, nella voracità che l’invidioso può avere per i cibi, per il danaro, per il sesso, per i beni altrui; nella rabbia che sente, nella pigrizia e nella superbia. Siccome l’invidia è l’assenza del sentimento la persona non la percepisce; allora diremo che quanto meno è il sentimento (affetto, amore) più invidiosa è la persona; ma quando manifesta amore, si vedono tutti i “sentimenti” negativi che gli apportano grande sofferenza.

– Ieri ero angosciata e non sapevo perché; sabato mi trovavo a teatro per assistere ad un balletto e non mi sentivo bene; lavoro come professoressa alla Chácara e credo che quell’ambiente non sia molto buono.

– Lei cerca solo quello che la fa felice e non tenta di vedere ciò che è realmente importante per la sua vita; spesso quello che causa infelicità diventa più prezioso di ciò che la fa felice. Si crede di essere infelici con qualcosa di favorevole, è segno che si è alla ricerca di un cammino che non è il migliore.

Vorrei chiarire al lettore che la ricerca della felicità può seguire un cammino erroneo; quello che è fondamentale è conoscere e seguire quello che è giusto che non sempre coincide con ciò che fornisce più soddisfazione. Perciò è realizzando il bene che l’essere umano percepisce tutto il male che esiste in se stesso e, evidentemente, questo non gli procura soddisfazione. Adottando un’attitudine buona si scorgerà tutto il male, ma se si permane nel male si resterà ciechi e non si vedrà quello che è buono. Quanto più grande è il beneficio che l’individuo riceve, tanto maggiore è la sua resistenza nel riconoscerlo; in psicoterapia tale fatto è stridente, poiché nel riconoscere il bene che ha ricevuto, l’individuo dovrebbe contemporaneamente ammettere tutta la sua condotta ingannatrice contro il bene, la verità e la vita e, per non ammettere la sua malizia, l’individuo nega perfino il bene che possiede.

·  Quando stavo facendo l’analisi soffrivo molto, disse I.S.

·  O quando stava partecipando al bene che riceveva dall’analisi doveva vedere anche la sua cattiva attitudine?

Questo è il grande motivo per cui l’essere umano rifiuta di accettare il bene, poiché esso è come un faro che illumina tutto il male che esiste nel mondo e nella stessa persona che si analizza.

L’invidioso soffre nel bene e non nel male – N. Keppe

Quando l’individuo invidioso si lascia con qualcuno, l’idea è che lo fa perché starebbe soffrendo di qualcosa di cattivo dell’altro e non che la sua sofferenza derivi proprio da ciò che l’altro possiede di buono; stando così le cose, accade sempre il contrario di ciò che generalmente si pensa, poiché qualsiasi attitudine buona che si abbia verso l’invidioso, egli corrisponderà con attacchi di furia e rabbia. In questo caso ci si chiede: “Che cosa fare con una persona così? Essa morde la mano che la alimenta, sputa nel piatto in cui mangia, uccide ciò che gli dà affetto, calunnia coloro che l’aiutano veramente e, principalmente, detesta coloro che fanno il vero bene.

Mio marito mi tradisce, disse la cliente J.P.

Come? Chiesi.

Ho il sospetto che esca con la sua segretaria.

Perché ha iniziato ad avere questo sospetto? La segretaria o lui stesso le hanno dato ad intendere di avere una qualche relazione?

No. Lei è tanto più vecchia di lui ed ha interesse soltanto per il suo lavoro e per la sua famiglia.

In questo caso lei sta facendo di tutto per formarsi un’idea negativa su di lui! Non sarà che qui c’entra l’invidia?!

È molto comune che l’invidioso cavilli, fino a trovare qualche difetto nel prossimo per poter giustificare il suo sentimento vile; ma per la maggior parte egli proietta negli altri tutte le sue intenzioni; in questo caso la propria voracità sessuale. Questa attitudine lascia l’altro totalmente confuso, poiché non comprende una tale quantità di accuse.

Vedo che l’invidia non mi lascia partecipare alla vita, disse I.M.

A che cosa associa la vita? Domandai.

Alla soddisfazione e all’allegria.

Allora non accetta la soddisfazione e l’allegria?

Le accetto ambedue, ma non riesco a ottenerle.

E come può riuscirci?

Non so, non vedo come; so solamente che prima partecipavo all’allegria degli altri.

E ora che non vuole offrire allegria ad alcuno, non ottiene neppure il piacere per sé.

Si è ripresentata quella questione del demonio un altra volta!

La signora sta dicendo che si identifica con i demoni?!

Ogni e qualsiasi sentimento di invidia colpisce la stessa vita e perfino anche la creazione; ciò che più offende l’invidioso non è il comportamento dell’altro, ma lo stesso suo esistere – non vuole che l’individuo invidiato esista, e lotta con tutte le sue forze perché soccomba. L’invidioso non ammira i genii; per questo motivo non trae beneficio da essi; più c’è invidia e meno ci sono ideali o più ci sono ideali e meno c’è invidia – poiché la capacità individuale è rapportata in ragione indiretta all’invidia.
L’infelicità che il nevrotico sente, il disinteresse per la vita, la sfiducia e la critica fanno parte della sua colossale invidia; ciò che è stato denominato pensiero positivo (vedere il mondo con ottimismo), non può esistere in una mente invidiosa. Quando i teologi nominarono i cosiddetti sette peccati capitali (superbia, ira, avarizia, pigrizia, gola, invidia e lussuria), lo fecero perché tale condotta rovina il benessere personale.
Se la persona è superba, generalmente si isola con i suoi pensieri deliranti; si reprime con molto odio, non gli avanza tempo per organizzare meglio la vita; se è avara il suo mondo diventa della grandezza delle banconote che ha in banca; se è pigro non potrà neanche raggiungere qualunque successo, evidentemente; se mangia troppo perde la possibilità di lavorare con qualcosa che non sia il suo corpo voluminoso e scomodo; se fantastica molto con il sesso, entra nel torpore simile a quello dei drogati; pertanto se l’invidia sarà molto forte, attaccherà tutto nella vita: lo psichismo, il benessere, il lavoro, il denaro, gli amici, l’amore, l’intelligenza, infine qualsiasi cosa che esista di buono – perché l’invidia è il padre di tutti i vizi e mali.