Psicanalisi del terrorismo – Richard Jones intervista Norberto Keppe

Intervista del giornalista canadese Richard Jones
allo psicanalista Norberto R. Keppe
R.J.: È passato poco tempo da quando abbiamo assistito negli USA ad un attacco terrorista senza precedenti. Penso che sia importante cercare di capire il significato dell’accaduto, qualcosa che abbia un senso. Qual è la sua idea al proposito?

N.K.: Qualunque cosa che riguardi la società deve essere osservata da un punto di vista sociopatologico. La società presenta gli stessi problemi della patologia psichica dei singoli individui. In questo contesto devono essere inclusi anche gli individui terroristi o le persone che creano gravi problemi alla società. Si tratta di malati mentali che tentano di attaccare e distruggere il corpo sociale. La società umana è tanto patologica quanto l’essere umano individualmente preso e in questo quadro è necessario studiare i mezzi per renderla sana. Occorre cioè procedere ad una socioterapia, una terapia in ambito sociale per far sì che la società non coltivi nel suo seno corpi estranei, individui terroristi, persone che tentano di distruggerla.

 

R.J.: Che cosa intende dire con il termine patologico?

N.K.: Il fattore patologico è proprio degli individui malati non solo nell’ambito della psichiatria (persone che manifestano malattie mentali come schizofrenia, depressione, epilessia), ma anche in ambito sociale (delinquenti, terroristi). Questi ultimi sono malati nell’ambito sociale, rappresentano perciò un pericolo per la società e hanno la stessa patologia che hanno i malati mentali. Perciò la questione è che bisogna vedere queste persone non tanto come criminali, ma come malati che necessitano pertanto di un trattamento. Non servono le prigioni o i manicomi per rinchiudervi questi malati mentali. Pertanto, quando una società ha bisogno di molte carceri è segno che sta molto male. Possiamo evidenziare il fatto seguente: quante più prigioni un paese ha, tanto più questo paese è malato poiché questo è il segnale che questi paesi hanno una struttura patologica che genera questo numero enorme di persone inferme che danneggiano la nazione.

 

R.J.: Come dobbiamo incominciare a trattare la società per renderla meno malata?

N.K.: La società ha bisogno di cambiare la sua struttura fondamentale perché la pace è conseguenza della giustizia sociale. La società nella quale non vi è giustizia (sia essa comunista, capitalista o di qualsiasi altro tipo) non offre a tutte le persone l’opportunità di vivere una vita ragionevole perlomeno da un punto di vista economico, sociale; quindi questo tipo di società genera ribellione fornendo, senza alcun dubbio, molte chances alle persone più delinquenti, più malate di attaccare il suo corpo sociale. Pertanto l’unica maniera di trattare una società malata (come attualmente sono tutte le società nel mondo) è di fare in modo che le persone soffrano meno ingiustizie, che godano tutte di una democrazia vera, che abbiano tutte gli stessi diritti. Probabilmente anche nella società americana non esiste questa democrazia della quale si parla tanto, in quanto che tutte le persone non hanno la medesima possibilità di svilupparsi a livello sociale ed economico.

 

R.J.: Quindi lei vuol dire che le società non offrono diritti uguali per tutti. Questo può rendere possibile che persone molto malate possano salire, a volte, a cariche di potere?

N.K.: Il problema è che nella società esistono alcune persone che impongono un tipo di società ingiusta per tutti e pretendono che tutto “giri”, tutto venga strutturato in funzione di questo loro potere. Pertanto sono proprio i più malati che realizzano un ambiente sociale molto negativo, provocando una spinta alla ribellione contro la società. E queste persone malate tirano dalla loro parte altre persone e altri poteri creando un sistema sociopatologico. Questa è la ragione per cui ho elaborato una scienza chiamata sociopatologia che introduce la necessità che si faccia una socioterapia. Si tratta di questo: fare in modo da impedire che le persone molto malate creino problemi. Esistono delinquenti in basso (individualmente molto malati) e individui fortemente malati in alto. Sono estremi che si toccano e sono due tipi di patologia di cui la società ha bisogno di avere coscienza.

 

R.J.: È quindi molto facile in questo momento che noi indirizziamo la nostra attenzione al di fuori delle nostre società, infatti la nostra attenzione è tutta rivolta al terrorismo, vari paesi si stanno unendo per lottare contro il terrorismo, come se il problema fosse esterno, risiedesse in qualche organizzazione esterna o in alcune persone malate esterne. Questa attitudine non è patologica?

N.K.: Sì ed è molto pericolosa per tutti. Perché la società che si vuole combattere, pur essendo esterna, mostra la coscienza della stessa società che dice di difendersi. E se una società esterna ha il terrorismo, ha individui delinquenti questa è l’occasione, per la società che l’accusa, di vedere che essa soffre degli stessi problemi.

 

R.J.: Se il terrorismo esterno è un riflesso di quello interno, vuol dire allora che il terrorismo che alberga dentro gli esseri umani si riflette fuori; quali sono allora quelle tendenze degli esseri umani di cui abbiamo bisogno di essere coscienti in questa situazione?

N.K.: Quando una nazione attacca con violenza il terrorismo esterno è perché in qualche modo quel terrorismo esiste anche al suo interno. Di conseguenza non possiamo dire che alcune nazioni sono pericolose ed altre no, perché il terrorismo non è un aspetto di questa o quella nazione, ma è un problema universale. In parole povere, se una nazione vede il terrorismo solo fuori e non lo vede dentro di sé, si pone in una situazione di maggiore pericolo di una nazione che si occupa del terrorismo interno in maniera più attenta. È molto pericoloso vedere il problema solo all’esterno, facendo così si cade nella proiezione, vale a dire che la persona vede in un’altra i problemi che lei stessa ha; per cui la nazione che vede fuori i problemi che lei stessa ha, diventa pericolosa per sé, perché non vede le difficoltà e le distorsioni che sono al suo interno.

 

R.J.: Che cosa intende dire con terrorismo interno? Come si manifesta nel nostro mondo? Come si mostra nelle nostre vite quotidiane?

N.K.: La questione del terrorismo riflette nella persona l’orrore che essa ha del proprio terrorismo interiore. Spiegando tutto questo da un punto di vista patologico, si può dire che, per esempio, l’individuo ha dentro di sé delle idee di distruzione o di autodistruzione. Tutto ciò si trasforma in un’idea molto pericolosa per lui quando, pensando di essere vittima di un terrorismo esterno, di una distruzione esterna, egli dimentica di vedere in se stesso questa attitudine a distruggersi. Quindi l’importanza di avere coscienza della propria patologia sta nel senso che l’individuo deve proteggersi da se stesso. Per esempio è molto importante che gli americani prendano coscienza della necessità di vedere questi problemi interni per proteggersi da se stessi. Io ho scritto un libro nel quale ho dimostrato che se un paese non percepisce la propria sociopatologia, finirà col distruggersi, come accadde per l’Impero Romano, l’Impero Inglese, l’Impero Francese, l’Impero dell’Unione Sovietica, perché ogni paese si distrugge da sé quando non ha più la coscienza dei pericoli che esso stesso crea alla sua esistenza.

 

R.J.: Può parlarci un po’ di più su questo processo di proiezione psicologica? Perché facciamo questo?

N.K.: Questo aspetto della proiezione è un punto centrale della patologia dell’essere umano e della società. L’individuo che non vede i suoi problemi incomincia a vederli fuori di sé, allo stesso modo il paese che non vuol vedere la propria problematica incomincia a vederla in altri paesi. Pertanto sta qui la questione dello scontro fra le nazioni: una nazione invece di prendersi cura di se stessa, pensa di distruggere un’altra per liberarsi di un problema che invece è dentro di sé. Questo è ciò che noi chiamiamo paranoia, perché l’essere umano o la nazione che non vede in sé i problemi che ha, comincia a creare difficoltà a sé e agli altri. Essi possono entrare persino in un delirio molto grande e non riuscire più ad avere una normale convivenza con le altre persone o nazioni. Qui subentra l’importanza della maturità. Una nazione più avanzata dovrebbe essere più matura, più evoluta di una nazione più arretrata. Ed è evidente che la nazione più arretrata in genere possa essere più malata ed avere, ad esempio, la tendenza ad attaccare la nazione più avanzata. Perciò il grande ruolo delle nazioni più avanzate deve essere quello di fare in modo che le nazioni più arretrate vengano coscientizzate attraverso la trasmissione di una maggiore cultura, una maggiore informazione per portarsi al livello delle nazioni più avanzate. Ad esempio, se una persona malata attacca una persona matura, questa sa resistere all’attacco, come accade nella psicanalisi, nella psicoterapia quando il malato attacca l’analista: è chiaro che questi ha l’obbligo, non di attaccare a sua volta, ma di calmare la persona facendole coscientizzare il problema che è in lei. Pertanto una nazione più avanzata, più matura (se veramente lo è, se viene attaccata da un’altra più arretrata (più malata), dovrebbe aiutarla a coscientizzare che sta facendo il male non solo all’altra, ma anche a se stessa. Ora se anche la nazione più matura attacca, si colloca sullo stesso piano patologico della nazione che ha attaccato per prima. Quindi quando una nazione dichiara la guerra, lo fa perché anch’essa è molto malata. Solo una nazione o una persona molto malata attacca l’altra fisicamente o le fa la guerra. L’idea di fare una guerra è il più grande terrorismo che possa esistere; infatti basti notare come questa guerra che stiamo vivendo stia terrorizzando il mondo intero. Quando un terrorista o un gruppo attacca un paese, la società matura di questo paese sa difendersi perché è molto più grande dell’atto terroristico. Quindi quando una grande società pensa di fare una guerra (in risposta ad un attacco terroristico) mette in atto un terrorismo più grande del quale non esiste niente. Per questo è necessario che vi sia una profonda coscientizzazione dei propri problemi quando si è di fronte ad eventi terroristici.

 

R.J.: Ma come possiamo applicare il concetto di proiezione quando esiste un attacco concreto? Se qualcuno ha attaccato, non esiste allora un nemico?

N.K.: Attraverso le scoperte della psicopatologia e della sociopatologia si è compreso che tutte le persone sono malate (chi più chi meno naturalmente). Quindi quando dico che l’umanità non ha coscienza, che è un’umanità malata, non mi riferisco solo all’individuo con le sue specifiche malattie organiche, psichiche e sociali, ma anche al fatto che esistono molte più malattie di carattere sociale derivanti da uno squilibrio economico e alimentare molto grande e da un divario molto grande fra le società:nera, bianca e gialla. La società deve prendere coscienza dei suoi problemi e imparare a convivere con essi fino alla loro soluzione. Perciò, quando esiste un problema, il compito del malato, come della società, non è quello di censurare, di nascondere il problema, ma di coscientizzarlo e di trattarlo. Per esempio: se si ha un’ulcera allo stomaco, si pratica un taglio e si toglie lo stomaco, e così la persona rimane senza un organo. Ma la società non può eliminare le persone così (come se fossero degli organi malati) con le guerre, il terrorismo ecc. Se attacca qualsiasi problema, nasconde ed aumenta le difficoltà. La società che pratica tanta repressione, che ha tante prigioni, tanti manicomi e tanti mezzi per eliminare i criminali, i malati, vuol dire che è molto malata. Ciò significa che la società deve vedere il suo grado di malattia per cambiare e condurre un’esistenza migliore.

 

R.J.: Lei ritiene dunque che fare una guerra contro il terrorismo sia qualcosa di sbagliato…

N.K.: Il popolo è quello che più soffre a causa di questo orientamento di attaccare gli altri con la guerra. In fin dei conti tutti noi sappiamo che in guerra chi va a morire è proprio il popolo. Ciò è la conseguenza della patologia del potere. È importante dire questo, perché il popolo è generalmente pacifico. Perché si possa risolvere il problema di un paese è dunque necessario che venga risolto il problema dei gruppi di potere che sono molto dannosi per un paese. Ciò che sta impedendo che il mondo sia migliore, che il popolo viva meglio che non si ripetano disastri come quello delle Twin Towers a New York, sono proprio persone interessate ad altro che non a quello che interessa la gente: ad avere cioè più potere, a dominare il popolo e a non lasciare che esso percepisca questi problemi che, d’altra parte, esistono in tutte le nazioni.

 

R.J.: Allora qual è un modo maturo di gestire questa situazione? Quali sono i temi più ampi della società e della natura umana con i quali dobbiamo lavorare? Che cosa dovremmo coscientizzare per poter lottare contro questa situazione?

N.K.: Il popolo è molto dominato da ciò che io chiamo coscienza dei media, coscienza sociale. Vale a dire, i mezzi di comunicazione influiscono in maniera tale da distorcere il pensiero e il desiderio del popolo: come è successo, ad esempio, per il Vietnam o per altre guerre come quelle fatte dalla Germania e dall’Inghilterra. Ciò che accade è questo: i media, il potere della comunicazione, alimentano, istigano l’idea nel popolo che si possano risolvere i problemi attraverso la guerra. Ma quando nel Vietnam cominciarono a morire giovani americani, il popolo disse no, questo non è buono per noi. Allora è importante che il popolo percepisca che ora è spinto a fare una guerra e che non risolverà alcun problema, poiché ogni guerra ha sempre portato un enorme rallentamento per tutte le nazioni coinvolte e dunque per tutto il mondo. Non è attraverso il male che può venire il bene. La guerra è il grande male dell’umanità. Ogni guerra che il mondo combatta oggi, ogni guerra mondiale che il mondo abbia combattuto nel secolo passato, ha ritardato enormemente la civilizzazione di tutto il mondo, ha causato problemi enormi per il popolo e ha generato situazioni ingiuste, situazioni sociali senza coscientizzazione. L’atteggiamento giusto è invece coscientizzare i problemi che esistono e risolverli attraverso il dialogo, attraverso accordi basati sull’etica e sulla giustizia.

 

R.J.: Che cosa gradirebbe dire alle nazioni oggi che potrebbe aiutarle in questa terribile situazione?

N.K.: Che una persona che fa una guerra vuole solo il potere e non ha alcuna buona intenzione. Se una persona comune finisce per desiderare una guerra per risolvere un problema, per quanto grave possa essere, vuol dire che è stata plagiata da persone malintenzionate o non ha maturità sufficiente. Nessun dirigente del mondo dovrebbe pensare di fare una guerra. Bill Clinton è stato un presidente che ha tentato negli anni passati di risolvere tutte le cose attraverso la comprensione ed il mondo ha vissuto un periodo di pace molto grande grazie alla sua attitudine. Nessun individuo maturo risolverebbe un problema per mezzo di una guerra. Esiste un detto cinese che afferma: quando due persone stanno discutendo, si osservi chi per primo perderà la calma e attaccherà l’altro; colui che attaccherà per primo è colui che ha perso la ragione. Quindi se un paese dichiara guerra a un altro a causa del terrorismo è perché si è messo sullo stesso piano del terrorismo o perfino su un piano inferiore.